Secondo il paradigma della evidence-based medicine, le decisioni in tema di salute dovrebbero essere informate dalle migliori evidenze scientifiche disponibili, identificate e analizzate in modo sistematico. Tuttavia esistono situazioni in cui le prove scientifiche mancano o sono molto scarse, ed è difficile ipotizzare che ricerche future forniranno risposte valide alle domande che pazienti e clinici si pongono. Ad esempio, nel caso di malattie molto rare è impossibile realizzare studi di numerosità campionarie adeguate a dimostrare con precisione le differenze tra un trattamento e l’altro o l’accuratezza di una procedura diagnostica, o il valore prognostico di determinati sintomi o segni clinici.
In queste situazioni, in assenza di robuste prove scientifiche sperimentali, può essere utile – dopo avere comunque raccolto e analizzato sistematicamente le (poche) prove scientifiche disponibili – formalizzare la discussione delle prove e il raggiungimento di un consenso mediante procedure predefinite. La metodologia della “Conferenza di Consenso” consente di affrontare e discutere pubblicamente problemi in cui ad aspetti tecnici di pertinenza strettamente specialistica si associano tematiche legate al concetto soggettivo di benessere, aspetti etici, normativi o di organizzazione dell’assistenza che potrebbero essere fortemente contesto-dipendenti e relativamente ai quali è quindi necessario stabilire un minimo comune denominatore da declinare poi in diverse realtà assistenziali salvaguardando l’equità di accesso alle cure.
Il raggiungimento di un consenso attorno a questi aspetti richiede un coinvolgimento di attori “laici” oltre ai professionisti della salute, primi tra tutti i pazienti e le loro famiglie o chi li accompagna nel percorso della malattia. La conferenza di consenso segue una metodologia specifica e rigorosa che prevede una raccolta e sintesi delle prove scientifiche da parte di ricercatori e la loro presentazione e discussione nell’ambito di un evento pubblico, al termine del quale una “giuria”, composta da tutti i rappresentanti delle figure coinvolte nel percorso di cura, raggiunge un accordo su una serie di raccomandazioni e di definizioni, poi disseminate sia nel mondo clinico e di ricerca, che nell’ambito dell’opinione pubblica interessata al problema oggetto di studio.
Esempio virtuoso è la conferenza di consenso sulla Encefalopatia Mitocondriale neuro-gastro-intestinale (MNGIE) organizzata nel 2019 con il supporto metodologico della Unità Operativa di Epidemiologia e Statistica dell’IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna. La MNGIE una malattia ultra-rara caratterizzata dall’associazione tra alterata motilità gastrointestinale, neuropatia sensitivo-motoria periferica, oftalmoplegia esterna progressiva cronica e leuco-encefalopatia, di cui sono stati descritti meno di 200 casi, sporadici e familiari. Clinicamente esordisce tra i 10 e i 40 anni con sintomi gastrointestinali e neurologici progressivi e poco specifici. La prognosi è sfavorevole, con aspettativa di vita notevolmente ridotta (età media all’exitus circa 37 anni) a causa della gravità della compromissione dell’apparato digerente, con infezioni ricorrenti e necessità di alimentazione parenterale. Stante la non specificità dei sintomi e la rarità di questa condizione, la diagnosi è spesso tardiva e in una fase avanzata di malattia.
Il progetto, di respiro internazionale, ha consentito di radunare i massimi esperti al mondo facendoli incontrare e discutere con i pazienti, due dei quali sono co-autori dell’articolo, e il cui apporto è stato fondamentale per meglio contestualizzare le conoscenze scientifiche, cliniche e strumentali, e orientare le direzioni future di ricerca.
I risultati della conferenza di consenso sono stati pubblicati sul Journal of Inherited Metabolic Diseases.
Francesco Nonino, IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna